Hindemith / Lutoslawski / Bruch / Glinka

Scarlatti Camera Young

Dialoghi musicali alla Federico II  2a edizione

 

Rassegna della Nuova Orchestra Scarlatti in collaborazione con

Marco Bizzarini, Enrico Careri, Simona Frasca, Maria Rossetti, Giorgio Ruberti,

docenti e ricercatori in discipline storico-musicali

del Dipartimento di Studi Umanistici, Università di Napoli Federico II

 

mercoledì 17 aprile 2024 – ore 17.00

Napoli – Archivio di Stato, Sala Filangieri

(Piazzetta del Grande Archivio, n. 5)

 P. Hindemith

Sonata per clarinetto  e pianoforte

W. Lutoslawski

Dance Preludes per clarinetto e pianoforte

M. Bruch

Kol Nidrei per violoncello e pianoforte op. 47

M. Glinka

Trio pathétique per clarinetto, violoncello e pianoforte

 

clarinetto Giuseppe Di Crescenzo  violoncello Gaia Ferrantini

pianoforte Elisabetta Furio

 

introduce il Professor Marco Bizzarini

Docente di Storia della musica e Musicologia presso l’Università Federico II

 

INGRESSO LIBERO

 

La Sonata per clarinetto e pianoforte di Paul Hindemith, composta in Svizzera negli ultimi giorni di settembre del 1939, non sembra risentire del tragico esordio della seconda guerra mondiale, pervasa com’è dalla costruttiva serenità del particolare ‘neoclassicismo’ del compositore, basato su un linguaggio tonale che trova la sua base unificante e naturale nel Grundsatz (il ‘suono fondamentale’); ciò secondo le teorie elaborate dallo stesso  Hindemith nel suo trattato Unterweisung im Tonsatz, (compiuto proprio in quel fatidico 1939, quasi un manifesto intellettuale di ordine e armonia contro il caos e gli orrori della storia).

Articolato nei canonici quattro movimenti di sonata, il brano si apre con un Mässig bewegt (‘Moderatamente mosso’) che  presenta un primo tema caratterizzato dall’intervallo di quarta tipico di Hindemith – una serena promenade – e una seconda idea cantabile che si anima man mano durante lo sviluppo, prima della dissolvenza in pp. Il secondo  movimento, Lebhaft (‘Vivace’), ha il tipico scatto da marcetta ironica di certi scherzi hindemithiani. Dopo il movimento lento, Sehr langsam, in tre sezioni, tutto si scioglie nel clima piacevole (gemächlich indica la partitura) del delizioso piccolo Rondò finale, giocato sull’alternanza tra un nuovo motivo vivace e sorridente e ritorni tematici dal primo movimento.

Il polacco Witold Lutoslawski (1913-‘94) ha attraversato tutto il ’900 – dalla lezione di Bartók alle avanguardie – con un senso infallibile dell’eleganza delle forme e del suono che ne ha fatto uno dei maggiori (e più felici) artefici musicali del secolo. Nel 1954 completò i Dance Preludes (‘Preludia taneczne’) nell’originaria versione per clarinetto e pianoforte, pagina fortunata che ebbe poi varie altre versioni. L’opera è in cinque brevi movimenti (circa 10 minuti in tutto) e si basa su motivi popolari della Polonia settentrionale, rielaborati con tale creatività (secondo l’esempio bartokiano) da impedire identificazioni precise. Ecco allora la vitalità stravinskiana del brevissimo Allegro molto iniziale, l’Andantino che inizia assorto per animarsi nella sezione centrale, il meccanismo ritmico dell’Allegro giocoso a cui si contrappone il passo sospeso e misterioso dell’Andante successivo; il sorriso di Stravinskij  fa di nuovo capolino nel rapido Allegro molto finale.

Del tedesco Max Bruch, contemporaneo di Brahms, troviamo in programma una delle pagine più amate, l’Adagio su melodie ebraiche Kol Nidrei, composto originariamente per violoncello e orchestra tra il 1880 e il 1881 e poi, per il successo ottenuto, oggetto di diverse trascrizioni. Il titolo fa riferimento a una dichiarazione che si recita prima della funzione serale della ricorrenza dello Yom Kippur (il “Giorno dell’Espiazione”, la data ebraica più santa e solenne dell’anno, il cui tema centrale è il pentimento e la riconciliazione con Dio; più che di una preghiera si tratta di una dichiarazione introduttiva: Kol Nidrei sono le due prime parole, “tutti i voti”, di una formula che annulla in modo proattivo qualsiasi giuramento o voto che verrà fatto a Dio nel successivo anno).

Il brano esordisce con una sospesa melopea in re minore: gli improvvisi scarti dinamici dal pp al ff evocano precisamente quelli dell’originale canto intonato in sinagoga. La seconda sezione in maggiore, un poco più animato, si distende in una cantabilità elegante ed espressiva che sul finire ricade dolcemente nell’atmosfera iniziale.

Il russo Michail Ivanovič Glinka (1804-‘57), artista colto, aristocratico, conciliò i fermenti cosmopoliti del romanticismo musicale europeo, assorbiti nelle giovanili peregrinazioni in Germania, Svizzera, Italia, con la nuova identità nazionale promossa in campo letterario dalle grandi personalità di Puškin e Gogol’. I suoi capolavori teatrali Una vita per lo zar e Russlan e Ludmilla fanno di lui il riconosciuto iniziatore della scuola nazionale russa, che darà i suoi frutti più maturi con Musorgskij. Il  Trio pathétique, qui nella versione per clarinetto, violoncello e pianoforte, scritto tra il 1827 e il 1828, è una pagina giovanile che ha come modello il classicismo tedesco, ma presenta tratti di fresca esuberanza e continua varietà ritmica nei quattro movimenti (che si susseguono senza soluzione di continuità) tipici del miglior Glinka. L’Allegro moderato iniziale si apre con una melodia di cantabilità operistica. Lo Scherzo attacca senza interruzione, ‘vivacissimo’ e brillante, con la distensione del Trio centrale ‘cantabile e affettuoso’. Il successivo Largo parte con un vibrante canto del clarinetto, poi ripreso dal violoncello, e infine sviluppato dalle aeree volute del pianoforte nella sezione ‘maestoso risoluto’. L’Allegro con spirito finale rielabora gli spunti tematici del primo movimento e attraverso poche battute ‘presto’ porta all’appassionata conclusione ‘alla breve’.