Bruch/Schubert/Schumann/Wolf/Mozart

Scarlatti Camera Young

Dialoghi musicali alla Federico II  2a edizione

 

Rassegna della Nuova Orchestra Scarlatti in collaborazione con

Marco Bizzarini, Enrico Careri, Simona Frasca, Maria Rossetti, Giorgio Ruberti,

docenti e ricercatori in discipline storico-musicali

del Dipartimento di Studi Umanistici, Università di Napoli Federico II

 

mercoledì 24 aprile 2024 – ore 17.00

Napoli – Archivio di Stato, Sala Filangieri

(Piazzetta del Grande Archivio, n. 5)

 

M.Bruch

Rumänische Melodie e Nachtgesang

dagli Otto pezzi  per clarinetto*, viola e pianoforte°° op. 83

F.Schubert / R. Schumann / H. Wolf

Mignon Lieder  ‘Kennst du das Land’

R.Schumann

Phantasiestücke per violoncello e pianoforte° op. 73

W.A. Mozart

Trio in mi bem. magg. per clarinetto**, viola e pf.°° K. 498 “Kegelstatt-Trio”

F.Schubert

Il pastore sulla roccia  Lied per voce, clarinetto** e pianoforte° D. 965

 

soprano Giuseppina Perna

clarinetti  Silvia Porzio*, Francesco Abate**

viola Livia Iadanza   violoncello Vittorio Infermo

pianoforte Carlo Martiniello°, Daniele Michelini°°

 

introduce la Dottoressa Maria Rossetti

 

INGRESSO LIBERO

Tardivo ritorno alla dimensione cameristica, a mezzo secolo dai giovanili Quartetti, i mirabili Pezzi per clarinetto, viola e pianoforte del tedesco Max Bruch (1838-1920) mostrano a ‘900 ormai avviato (siamo tra il 1908 e il 1910) l’incrollabile fede del compositore nelle forme del romanticismo, Mendelssohn in primis, fede inattaccabile dal vento di innovatori quali Richard Strauss o Debussy, bollati da Bruch come “inqualificabili imbrattacarte”. Il quinto e il sesto pezzo sono gli unici caratterizzati da un titolo. Il quinto, Rumänische Melodie è una ‘melodia rumena ‘ di mesta bellezza, arricchita da cromatismi dal sapore balcanico, esposta prima dalla viola, poi ripresa dal clarinetto con il controcanto della viola e l’arpeggiato del pianoforte; dopo un espressivo  stringendo, il tema ritorna intonato insieme dai tre strumenti. Il sesto brano, Nachtgesang, è un andante con moto in sol minore, innervato da un ampio gesto melodico, prima disegnato dal clarinetto, poi anche dalla viola.

“Kennst du das Land, wo die Zitronen blühn, im dunklen Laub die Goldorangen glühn …” … “Conosci il paese dove fioriscono i  limoni, tra le foglie scure risplendono le arance d’oro : i celebri versi dell’ ‘Italienlied’ di Mignon, dal Wilhelm Meister di Goethe, che aprono a una visione mitica e insieme iniziatica della nostra terra (dando al contempo voce alla Sehnsucht, l’intraducibile ‘struggimento per ciò che è assente’ tipico dell’anima germanica), hanno rappresentato il fuoco ispiratore di tante visioni musicali del romanticismo europeo, da Beethoven a Hugo Wolf, passando per Schubert, Schumann, Liszt … Parte di questo tragitto esemplare lo ritroviamo in programma, a cominciare dalla più nota intonazione schubertiana di questo testo, il Lied D. 321, piccola gemma di tenero struggimento. Schumann con la sua versione del 1849 (dai Lieder und Gesänge dal Wilhelm Meister di Goethe), penetra con altra profondità nella nostalgia del testo. Hugo Wolf (1860-1903), sensibilissimo cantore del tramonto asburgico (e tormentato, al pari di Schumann, da una follia che oscurerà i suoi ultimi anni) distilla la sua ispirazione in circa 300 Lieder di straordinaria finezza melodica e complessità armonica e ritmica, che lo pongono al vertice del genere nella seconda metà dell’ ‘800. La sua intonazione della canzone di Mignon, dalla raccolta dei Goethe Lieder, nella rara tonalità di sol bemolle, ‘lento e molto espressivo’, immerge i versi in un clima di trascolorante e sensuale simbolismo

Composti da Schumann a Dresda nel fatidico 1849 (l’anno rivoluzionario che vede Wagner accanto a Bakunin sulle barricate della cittadina sassone), i Phantasiestücke, intitolati originariamente Soireestücke, rappresentano la sublimazione della dimensione domestica, privata dell’Hausmusik nella calda ispirazione schumanniana, dove l’equilibrio della scrittura, la cura preziosa del dettaglio, il gusto geniale per la miniatura non diventa mai maniera, è sempre scandaglio di una delicata interiorità. I tre brani sono tenuti insieme da richiami tematici interni che ne fanno quasi sezioni di un’unica composizione, lungo un arco di progressiva tensione che dall’onda di nostalgico lirismo del primo brano in minore (Zart und mit Ausdruck, ‘delicato e con espressione’) passa alla concitazione affettuosa della sezione centrale (Lebhaft, leicht, ‘vivace, leggero’), e poi allo slancio conclusivo Rasch, mit Feuer (‘veloce, con fuoco’). Queste pagine, composte originariamente per clarinetto ma eseguibili anche con il violino o il violoncello, trovano nel timbro caldo e scuro di quest’ultimo un colore espressivo ideale.

Il Kegelstatt-Trio K. 498, aggiunto da Mozart al suo catalogo in data 5 agosto 1786, è un piccolo capolavoro dai colori particolari, “un gioiello di intimità” affidato ai timbri del clarinetto (lo strumento dell’amico e confratello massone Stadler, alla cui voce penetrante e nuova per l’epoca Wolfgang dedicherà capolavori estremi quali il Quintetto K. 581 e il Concerto K. 622) e della prediletta viola. Leggenda vuole che questa musica sia stata composta durante una partita di birilli tra amici (di qui il soprannome ‘Trio dei birilli’). I timbri caldi di clarinetto e viola suggeriscono a Mozart una ricchezza di idee melodiche in libera espansione (come in un calore intimo di fraterna amicizia): all’Andante allusivo segue un Minuetto che ha già l’agreste innocenza di Papageno, e poi un Rondò in cui sembra affacciarsi l’incanto sentimentale delle Nozze di Figaro.

Il Pastore sulla roccia (‘Der Hirt auf dem Felsen’) per voce, clarinetto e soprano, è un unicum nella produzione liederistica di Franz Schubert, composto nell’ottobre 1828, a pochi giorni dalla precoce scomparsa. Il testo riunisce versi di Wilhelm Müller (il poeta dei grandi cicli liederistici Die Schöne Müllerin e Winterreise) e della poetessa Helmina von Chézy. Il clarinetto anticipa, incalza, commenta il canto, incarnando l’alter ego di questa scena vocale tutta giocata su continue alternanze fra luce e ombra. Il legno esordisce con il pianoforte, volando su e giù in figurazioni che disegnano l’ambientazione bucolica dello sfondo, ma subito è attratto verso note gravi, in minore; è l’abisso della valle verso cui si protende lo sguardo del pastore che, sospeso sulla roccia, canta così: “Quando sto sulla cima più alta, guardo giù nella valle profonda e canto”. E presto capiremo che il personaggio che canta sull’orlo dell’abisso altri non è che Schubert stesso, con la sua anima perennemente in bilico tra allegria e disperazione. Nella seconda parte del Lied la malinconia del pastore per il suo amore lontano erompe patetica; a un certo punto la melodia affonda nella notte, e allora, per  scansare l’abisso, il musicista  dissolve all’improvviso l’oscurità con una frizzante cabaletta finale, quasi operistica: “Verrà la primavera, la mia gioia” (“Der Frühling, meine Freud …”).  Schubert, il guter Kerl, il ‘compagnone’, eterno esule dell’esistenza, è riuscito ancora una volta (forse l’ultima) a esorcizzare l’Ombra con la sua arte felice.